Non so se la gestione dell’emergenza sanitaria sia sfuggita di mano nelle scuole della nostra città e della provincia, come sostengono i Cobas. Anche perché nessun organo di stampa locale ha ancora comunicato i numeri degli studenti positivi e delle classi in quarantena, magari solo per non creare allarmismo. A ogni modo, secondo la mia esperienza di docente elementare, a me non risulta. E non capisco bene a cosa mirino i Cobas con questa polemica. Forse al rapido ritorno, anche nella nostra provincia, alla didattica a distanza (DaD) o integrata (DiD) al 100% che dicono di non volere? O alla chiusura generalizzata di ogni ordine di scuola? Può essere sbagliato costringere i professori a recarsi negli istituti per praticare la DaD, è vero. Ma poi non si può lamentarsi che i docenti, per metterla in atto, debbano utilizzare computer e WI-FI propri. Delle due, l’una.
Personalmente la chiusura della scuola e il ritorno alla scuola non in presenza sarebbe un fallimento non solo per il governo, ma anche per le stesse amministrazioni locali. E per tutti i componenti mondo della scuola.
Certo sono stati commessi errori. E gli investimenti economici da parte del governo sono stati inadeguati e mal spesi: nel 2008 il governo Berlusconi, con Mariastella Gelmini ministro dell’Istruzione, tagliò alla scuola 8 miliardi. Il governo Conte, di fronte alla pandemia, ha messo sul piatto meno di due miliardi.
Non è tutto. La ministra Azzolina ha fatto gaffe per mezza estate. La famosa commissione scientifica si è rivelata più politica che scientifica. Prima si è parlato di dimezzare le classi pollaio, poi sono rimaste perché servivano troppi docenti. Allora si è detto che bastava mettere gli stessi studenti in aule più grandi, poi ci si è accorti non c’erano abbastanza spazi. Allora si è detto che bastava distanziare i banchi. E se non si riuscivano a distanziarli, bastava mettere le mascherine. Insomma, non si sono fatte le cose per bene.
Ed è chiaro che la scuola, con la pandemia, è stata messa dalla politica al primo posto, e non certo per un interesse reale – ogni politico prima delle elezioni dice che la scuola è la cosa più importante del suo programma, poi regolarmente se ne dimentica. E come fatto politico, la scuola si presta a ogni genere di strumentalizzazione.
Ma occorre sempre ricordarsi che quando si parla di scuola, di mezzo, ci sono sempre bambini e ragazzi in carne e ossa: i cittadini di domani, il nostro futuro. E la protesta per la protesta, alla lunga, rischiano di creare più danni che aiuti e a ledere ancora di più il diritto costituzionale all’istruzione dei nostri studenti e dei nostri figli.
Una cosa però non l’ha capita neppure chi non è professionista della protesta: i criteri per i quali una classe è messa in quarantena da una AUSL. A Settembre, in caso di positività di un alunno, in 24 ore tutta la classe doveva essere sottoposta a tampone e, dai giorni successivi, l’AUSL avrebbe messo in quarantena la classe o avrebbe detto che l’attività in presenza sarebbe potuta continuare tranquillamente. Ma oggi, anche nella nostra città e provincia, risultano classi con uno o più studenti positivi e nessuna AUSL in 24 ore fa i tamponi a docenti o altri compagni di classe. Anzi, si dice che, se lo studente positivo è a casa da scuola da più di 48 ore, non ci sono pericoli. Può essere. Ma ciò si basa sulla certezza non provata che ogni studente entri in aula senza febbre. Perché ogni mattina i suoi genitori gliela hanno provata.
Vero? Mah.
Non tutte le famiglie e i genitori sono uguali. Né si fidano gli uni degli altri, spesso. A volte anche a ragione.
Per esempio, tra i più piccoli, capita che un alunno arrivi a scuola sorridente e poi stia male, abbia male alla pancia, diarrea, vomito, raffreddore, tosse. Bidelle e insegnanti gli provano la febbre. Se ce l’ha, viene messo nell’aula Covid in attesa che arrivino i genitori a prenderlo. E magari all’AUSL risulta positivo. Allora?
Oltre agli igienizzanti ci vorrebbe urgentemente una pistola-termometro per ogni classe.
Ogni mattina, prima che entrino in aula e prima della mensa, verso sulle mani dei miei 26 alunni un po’ di igienizzante. Ci metto qualche minuto. Allo stesso modo potrei misurar loro la febbre. Rapidamente. E saremmo tutti più tranquilli. Io e i loro genitori.
Certo, un termometro, per ogni classe italiana, non è una spesa da poco. Ma certo costa molto meno di un banco.
Chiedo: questo termometro se lo devono comperare i docenti? O si deve fare una colletta tra i genitori di una classe come si faceva quando mancava la carta igienica? Ditecelo: e qui facciamo la colletta. Altrimenti qualcuno, magari lo Stato o l’amministrazione locale, ce li fornisca in fretta: sarebbe cosa buona e giusta.
Articolo pubblicato sulla del 9 Novembre 2020