Tra i laboratori svolti presso le biblioteche di Reggio Emilia, quello che più ho apprezzato è stato Amira. Un mondo senza confini, laboratorio che io e la mia compagna abbiamo condotto con una classe 5^ primaria.
Innanzitutto, ritengo che l’argomentato trattato, ovvero quello dell’integrazione, sia molto profondo e attuale, e le attività svolte rappresentino il punto di partenza per creare un percorso con gli alunni per poter approfondire maggiormente la tematica.
Inoltre, la classe con cui abbiamo svolto il laboratorio comprendeva molti bambini con genitori stranieri, quindi si sono potuti immedesimare in Amira, come testimoniato da molti concetti emersi proprio da loro o dai compagni.
Inizialmente per conoscerci abbiamo chiesto ai bambini di presentarsi accompagnando il loro nome ad un gesto che più gli piaceva o li rappresentava, dopodiché tutti ripetevamo i gesti di ciascuno.
In seguito, siamo entrati nel vivo del laboratorio, presentando il libro scritto da Giuseppe Caliceti raccontando brevemente la storia di Amira.
Abbiamo quindi spiegato che la storia raccontata nel libro si basa sulla storia vera di Lamiaa Zilaf, che ha portato al Parlamento Europeo una lettera in cui parlava della sua situazione.
Abbiamo poi deciso di far vedere al computer il video in cui Lamiaa legge la lettera, in quanto abbiamo ritenuto che vedere e sentire quanto scritto nella lettera proprio da Lamiaa potesse suscitare un’empatia diversa rispetto ad una lettura da parte nostra, consentendo di creare un rapporto con una bambina che nel video ha quasi la loro età.
Abbiamo poi chiesto loro di raccontarci cos’avevano capito dalla lettera e abbiamo ripreso con loro alcuni passaggi molto importanti.
In tutta questa parte i bambini hanno ascoltato molto attentamente e con interesse.
Sono emersi dai bambini stessi i concetti di diversità, di solitudine e tristezza.
A questo punto abbiamo scelto quattro di loro per rappresentare la famiglia di Amira, quindi i genitori e i due figli, chiedendo la loro opinione sull’essere italiano o marocchini, questione poi estesa a tutta la classe.
I bambini, che hanno partecipato attivamente, hanno dato opinioni molto diverse tra di loro: i genitori sono stati indicati come esclusivamente marocchini o con entrambe le nazionalità, mentre i figli o esclusivamente italiani o sia italiani sia marocchini.
La prima parte del laboratorio si è poi conclusa con la ripresa dei contenuti da loro emersi e la spiegazione di quanto affermato dalla legge italiana.
Anche in questo caso i bambini hanno mostrato molto interesse per l’argomento, tanto che alcuni di loro annuivano come se fossero già a conoscenza di alcuni aspetti.
Nella seconda parte abbiamo invitato i bambini a disporsi ai tavoli e scrivere su un foglio una lettera ad Amira, dopo aver riepilogato brevemente le caratteristiche principali della lettera. Molti hanno iniziato presentandosi e parlando della propria situazione, in alcuni casi simile a quella di Amira; altri hanno preferito porle delle domande ecc.
La parte più interessante a mio avviso è avvenuta nel momento della restituzione, in cui dopo aver raccolto tutte le lettere dentro al “libro della classe”, molti di loro hanno letto la propria davanti agli altri.
Sono emersi dei concetti molto profondi: in alcuni casi i bambini si sono immedesimati nella situazione.
Un bambino in particolare mi ha colpito: egli ha spiegato come quando ha fatto per un anno la scuola in Marocco, veniva preso di mira dai compagni in quanto conosceva poco l’arabo. Cito testualmente:
“Cara Amira, avrei un sacco di domande da farti ma prima ti voglio raccontare la mia storia. Anch’io mi sono sentito così perché sono arabo e quando sono andato in Marocco mi sono sentito così. Lì era la mia prima volta perché io vivo in Italia, io in quel momento mi sono sentito escluso anche se era la mia lingua, dei miei genitori, visto che loro sono arabi. Io invece sono nato in Italia anche se la lingua da cui vengono i miei genitori io non la capisco e quindi mi sentivo diverso.” Altri si sono invece soffermati sul coraggio che Amira/Lamiaa ha dimostrato: “sei stata molto coraggiosa, vorrei avere anch’io il coraggio che hai avuto tu”, oppure “sei stato molto coraggiosa perché avrai pianto prima di parlare davanti al Parlamento, vero?”. Un’altra bambina invece spiega ad Amira quali sono concretamente le sue situazioni di difficoltà: “adesso ti spiego i miei problemi pochi perché alcuni non me li ricordo scusa adesso te li dico:
-non riesco a studiare alcune volte
-alcune volte faccio i compiti a caso, non sempre!
-non riesco a parlare di cose senza senso per far ridere, alcune volte sì.
Questi sono alcuni dei miei problemi gli altri non me li ricordo aspetta me ne è venuto uno in mente: non mi ricordo le cose che dico c’è che studio. Posso dire che mi sento come te c’è che abbiamo gli stessi problemi”.
Altri ancora si sono focalizzati su domande da porre ad Amira riguardo alla sua vita di adesso, a suo fratello, al Marocco e molte altre ancora. Infine, il rapporto di empatia che i bambini hanno costruito con la bambina è testimoniato dal fatto che molte lettere terminava con degli auguri come “buona fortuna” o “ti auguro buona vita”.
(Pisciali)