Uno dei temi culturali più importanti degli ultimi anni, – che nessuna seria politica culturale, oggi, può non vedere, – è quello della gratuità o meno della formazione e della conoscenza.
Formazione e conoscenza, di cui nella nostra Costituzione si parla come diritti gratuiti alla persona, oggi, infatti, vengono descritti come servizi, sempre più a pagamento. Non solo rispetto ai minori e alla scuola – pubblica, dell’obbligo, descritta sempre più come azienda, di cui le famiglie sarebbero i clienti sempre più paganti. Ma anche rispetto alle cosiddette istituzioni culturali. In pochi decenni, è come se la conoscenza e l’accesso alla bellezza delle arti, fossero diventati un lusso a disposizione solo di pochi: chi se li vuole e può pagare. E’ giusto?
Per questo mi ha sorpreso la proposta della lista Reggio è che chiede la gratuità all’accesso delle scuole dell’infanzia reggiane.
Come d’altra parte erano all’inizio.
Spesso infatti ci si è chiesto: se sono a pagamento, sono scuole private o pubbliche?
Perché poi è quello, alla fine, uno dei principali distinguo.
E alla lunga può risultare ambiguo porsi come scuola pubblica nella propria città e come privata nel resto del mondo quando si vende un metodo – ammesso che sia auspicabile vedere un metodo educativo e non, semplicemente, condividerlo per il maggior numero di bambini possibile, al di là del reddito delle loro famiglie, sia a Reggio Emilia che all’estero.
Lo stesso ragionamento della gratuità o meno può valere per tante altre istituzioni culturali reggiane: che differenza c’è tra di esse, che sono istituzioni, – e le agenzie, le multinazionali o le cooperative private che distribuiscono e forniscono “merce” artistico-culturale o lavoro nel comparto formazione o conoscenza alla cittadinanza tipo una Multisala?
Sono, queste stesse istituzioni – dalla scuola ai teatri, dal museo alle Fondazioni, – promotori e produttori di dibattito, visioni, formazione, oggetti/eventi culturali? O sono solo agenzie/ditte di smercio e consumo culturale più o meno istantaneo? O ancora, distributori a pioggia di cultura-fai-da-te? Come è accaduto negli ultimi anni, per esempio, con l’istituzione dei bandoni che, personalmente, devono essere superati per una redistribuzione dei pochi fondi non a pioggia, ma più responsabile, utile, mirata e intelligente.
Sono domande a cui non è facile rispondere in poche parole, ma su cui riflettere profondamente. Proprio per questo auspico anche io, come già sottolineato da altri che mi hanno preceduto, che nella giunta che verrà ci siano un assessore e un assessorato alla cultura. Capaci, tra l’altro, di impegnarsi a fondo anche di fronte al nostro solito problema: la necessità di fare più rete tra le varie istituzioni e associazioni culturali e formative, che pure, singolarmente, sono di buona e ottima qualità. E’ possibile che ognuna di queste realtà, oltre ad avere il proprio “cartellone” e la propria specificità, i propri finanziamenti e il proprio pubblico, collabori unitariamente a un progetto comune con le altre per dare vita a qualcosa che possa avere una rilevanza nazionale e internazionale? Si chiama: progetto. E manca da troppo tempo in questa città.
Quale potrebbe essere questo collante?
Quando un intellettuale di statura mondiale come Howard Gardner, come ci ha ricordato alcuni mesi fa lo stesso sindaco Luca Vecchi, dice che Reggio Emilia è la sola città al mondo che tutti associano automaticamente, ovunque, alla parola educazione, io credo non ci possano esser dubbi. Il brand c’è già. E sarebbe miope non coglierlo, magari solo perché non si ha il coraggio di assumersi anche la responsabilità che, naturalmente, una scelta del genere richiede. Di fatto, la città e le istituzioni di Reggio sono già, nel mondo, una sorta di Assessorato Mondiale alla Formazione e al Futuro: cioè a chi verrà dopo di noi.
Educazione. All’ambiente. All’alimentazione. Alla lettura. Alla musica. Alla pace. Alla formazione. Al teatro. Alla cittadinanza. Al futuro. L’educazione alla conoscenza, nei suoi molteplici aspetti, primo tra tutti la ricerca e la convivenza pacifica, sono il segno distintivo della politica sociale e culturale più autentica della nostra comunità.
Sarebbe interessante chiedere a Gadner perché, secondo lui, questo brand non è ancora stato utilizzato dall’intera città educante.
(La Gazzetta di Reggio – 11 Febbraio 2019)