“Io, Reggiana e Marocchina ora vivo in Francia. L’Italia è razzista”
Lettera di Lamiaa Zilaf, testimonial di “L’Italia sono anch’io”
Si è trasferita Oltralpe: “Qui non considerata straniera”
Lamiaa Zilaft bha 18 anni, è nata in Italia da genitori marocchini e ora vive in Francia. Nel 2011 ha partecipato alla campagna “L’Italia sono anch’io” e l’anno dopo, a 12 anni, ha portato la sua storia alla Camera dei deputati, leggendo una lettera a favore del diritto di cittadinanza, dove scriveva: “Il Marocco è il mio papà, l’Italia è la mia mamma”. Alla sua storia è ispirato il libro “Amira” di Giuseppe Caliceti, uscito recentemente per Raffaello Editore.
LAMIAA ZILAFT
Mi chiamo Lamiaa, ho 18 anni e oggi vi racconto la mia storia. L’ho letta per la prima volta nel 2011 in piazza della Vittoria a Reggio Emilia, partecipando alla campagna “L’Italia sono anch’io” e poi, la seconda volta, al parlamento italiano, davanti a più di trecento persone e una fila di telecamere. Una volta letta, tutti mi hanno detto che ero coraggiosa e molto matura. Alcuni giornali hanno diffuso la notizia e tanta gente ha condiviso post su facebook, Instagram e altri social network. Oggi vivo in Francia, dove mi sono trasferita nell’agosto del 2013, e studio psicologia all’università. Ho lasciato la mia vita in Italia e sono partita verso l’ignoto.
Molta gente mi chiede il perché di questo trasferimento e non so mai come rispondere, ma oggi vi risponderò. L’Italia è un Paese governato da razzisti, come tutti gli altri Paesi, la differenza è che i tipi che la governano non nascondono il loro razzismo, ne fanno un potere nefasto contro la loro gente. E’ come se volessero distruggere il Paese che stanno governando e non ha senso.
Quando si governa un Paese si dovrebbe fare di tutto perché gli abitanti amino il loro governatore, cosicché il Paese guadagni, è così’ che funziona la politica. Ma se tu insulti la tua gente e la fai scappare, come vuoi riuscire a guadagnare. Ero in terza media, era il mese di giugno, cioè il mese dell’esame, i miei genitori hanno deciso che ci saremmo trasferiti in Francia. Lo shock.
Non sapevo più cosa dovevo fare, ho pregato i miei genitori di non farlo. Era troppo bello, restare nel mio Paese, per essere vero. Non sapevo se ne valeva la pena di passare l’esame o se era meglio abbandonare in segno di disaccordo. Ero persa, mi sentivo persa. Non avevo detto niente ai miei amici perché odio dire addio, anche perché sapevo che un giorno sarei tornata in Italia, sapevo che un giorno sarei tornata dalla Mamma.
Quando mi sono trasferita avevo un mese per preparare il rientro scolastico e in questo mese ho imparato il francese. Infatti tutti mi hanno detto che lo parlavo bene.
Quando sono arrivata ho notato che tutto era diverso, qui non mi chiamavano “la straniera”, ero solo “la nouvelle èleve” (la nuova alunna), qui non sono marocchina, sono italiana, dato il fatto che sono nata in Italia, qui non ricevevo voti a partire dalle mie origini, ma dalle mie risposte.
Ero soddisfatta da questo lato, ma ce n’era un altro, il più importante, non era il mio Paese! Non mi sentivo al mio posto, ero triste e avevo una sola voglia: tornare in Italia.
Mi sono sentita come una straniera, solo che questa volta lo ero per davvero. In classe mi distraevo facilmente, guardavo dalla finestra, scrivevo qualche pensiero su un pezzo di carta, mi allacciavo le scarpe, pensavo ai miei amici in Italia, cominciavo ad immaginarmi delle conversazioni che avrei dovuto avere in italiano e al fatto che non dovessi essere qui. Durante tutto l’anno scolastico i professori e i miei compagni di classe hanno fatto di tutto per farmi sentire a casa, cosa che in Italia non esiste. L’Italia è casa mia, ma nessuno lì ci fa sentire italiani. All’inizio non capivo perché i miei genitori ci hanno fatto trasferire, ma ora mi dico che se fossi al loro posto, l’avrei fatto da tanto tempo.
L’Italia, sfortunatamente, è un Paese governato da razzisti, dove l’evoluzione non esiste, dove la gente non è aperta alle novità, al cambiamento, alle differenze e all’uguaglianza allo stesso tempo, perché non ci sono giovani come me e tanti altri, a far parte della politica.
(Gazzetta di Reggio – 4 Dicembre 2018)