Mi fa piacere rispondere all’appello della nonna che ha scritto una lettera alla Gazzetta per segnalare come, secondo lei, i compiti scolastici del nipote sarebbero troppi e troppo nozionistici. E gli insegnanti della scuola primaria non stimolerebbero a pieno il ragionamento e la creatività.
La prima cosa che mi colpisce e che a scrivere sia una nonna e non un papà o una mamma. La seconda: la nonna ci ricorda che i genitori, alla sera, devono controllare i compiti, e non fare i compiti insieme ai bambini. Domando sommessamente perché, allora, non lasciano che il figlio vada a scuola senza averli fatti. Se continueranno a farli al suo posto, magari i docenti non lo sapranno mai.
Detto questo, credo che sia vero, quella storia per cui del lavandino che perde parla solo un idraulico, ma della scuola e dell’educazione parlano tutti e tutti la sanno lunga, e questa è la cosa bella ma anche la cosa difficile della scuola. Anche perché oggi se ne parla spesso come di un servizio e non di un diritto istituzionale, – di un’azienda i cui clienti sono le famiglie degli studenti, e se fosse così basterebbe solo dare ragione alla famiglia/cliente, anche se magari non è la cosa migliore per il figlio.
Ma anche partendo da una piccola lettera come questa, forse, si può provare a sciogliere il nodo: la rottura del rapporto di fiducia tra genitori degli alunni e docenti. E questa non fiducia spesso è trasmessa ai figli e ai nipoti. E senza questa fiducia nel proprio docente, imparare e stare bene a scuola è più difficile.
Detto in due parole: oggi la maggior parte dei genitori e dei familiari di uno studente crede di più a quello che gli dice il minore piuttosto che a quello che gli dice, sul figlio, uno dei suoi decenti. Per vari motivi, che ora non è il caso di affrontare perché sarebbe troppo complesso. Non è una cosa da poco. Bisognerebbe riflettere a lungo.
Ma torniamo al problema compiti.
Naturalmente ogni caso è a sé. Dipende se l’alunno frequenta una scuola a tempo pieno o no. Dipende dalla frequenza, dalla difficoltà e dalla quantità. Una cosa è certa: da ormai alcuni anni, a livello nazionale, c’è un vero movimento di genitori, capeggiati da un preside che ha scritto un libro contro i compiti, che sta “lottando” perché non ci siano più compiti a casa. In modo per me un po’ estremista, arriva addirittura a dire che i compiti scolastici a casa rovinano la pace famigliare e limitano le gite insieme ai figli fuori porta. Quasi che, se i genitori certe volte divorziano, è colpa dei compiti e della scuola e non di altre faccende. Esagerazioni. Io come la penso?
Personalmente sono a favore dei compiti. Perché anche attraverso essi si educa all’autonomia e alla responsabilità degli studenti. Perché per imparare, oltre alla creatività, è necessario anche l’esercizio: chiamiamolo allenamento, come quello dei giocatori prima di fare una partita.Naturalmente non devono essere troppi. Devono riguardare argomenti già affrontati in classe. Devono essere, possibilmente, il più possibile concordati nelle assemblee di classe dai docenti con i genitori degli alunni.
Spesso i compiti, lo svolgimento dei compiti, sono un impegno e una responsabilità non solo per i figli, ma anche per l’intera famiglia, è vero; non dovrebbe capitare sempre, ma se qualche volta capita, non credo sia male. Anzi.
Ed è un ottimo segno di responsabilità e di impegno dei genitori nei confronti dei figli.
A me, per esempio, ogni tanto piace dare ai miei alunni dei compiti da svolgere insieme ai loro genitori. Al momento, nessuno ha protestato.
Ancora: colpisce infine che, se da un lato i genitori si lamentano, le scuole che spesso i genitori degli studenti ritengono migliori sono quelle in cui si danno più compiti a casa e si crea più selezione. Dunque?
(la Gazzetta di Reggio – 19 Novembre 2018)