Scrive il direttore della Gazzetta: “Qui a Reggio la cultura è gestita come si trattasse di un servizio. Un qualsiasi altro servizio”. Tradotto: “come ordinaria amministrazione, impegno burocratico”, “non c’è eccitazione, non c’è ardimento, non c’è invenzione”. Mi ha ricordato che l’amico poeta e avvocato reggiano Corrado Costa ripeteva: “La cultura è invenzione o non è niente”. Ma anche che, fino a qualche decennio fa, si parlava della nostra città e Regione come capitali dei servizi. Non solo alla persona, anche in campo culturale. L’avere servizi più efficienti rispetto a gran parte del resto di Italia era un vanto: si parlava con enfasi di modello emiliano. Insomma: la parola “servizi” era positiva. Secondo Scansani, oggi, acquisirebbero significati piuttosto negativi. E’ il tempo che passa e cambia le cose e il significato che diamo alle parole, si capisce.
Ma forse c’è qualcosa di più.
Per esempio, è indubbio che se al posto di un Assessorato alla Cultura e di un assessore alla cultura, che in passato avevano un ruolo di coordinamento e di ideazione delle politiche o anche solo delle manifestazioni culturali, si sostituisce una Fondazione misto pubblico-privata che ha il compito politico di ideare linee culturali e manifestazioni…
Insomma, a chi lavora nelle istituzioni culturali viene richiesto sempre più un ruolo amministrativo più che culturale e di ideazione. Sempre più di esecutore che di co-ideatore.
Prendiamo ad esempio il Festival Letteratura di Mantova. Lì la forza è ed è stata la capacità del pubblico di appoggiarsi e coinvolgere anche al privato, certo, ma mantenendo uno stretto rapporto di fiducia e protagonismo in chi lavora nell’amministrazione, anche e soprattutto nel suo segmento culturale e turistico.
Da noi la sensazione è che sia stata scelta un’altra strada. In cui si supplisce a un forte coordinamento culturale e politico che abbia al centro del processo di produzione culturale (anche di grandi eventi o linee culturali lunghe e ambiziose) chi lavora tutti i giorni nelle istituzioni culturali, come avveniva un tempo.
E supplendo alla mancanza di rete che caratterizza ogni grande evento con reti esterne.
Il successo e la partecipazione di ReggioNarra non potrebbe esistere senza la rete delle scuole, in particolare quelle dell’infanzia.
Fotografia Europea sarebbe già finita da tempo, senza quell’ancora di salvezza che ne rappresenta il suo circuito off.
Poi, certo, i nostri cosiddetto odierni “successi” culturali dipendono tutti dal meteo: su questo Scansani ha ragione. Non mi azzardo ad addentrarmi nei suoi arditi e suggestivi ragionamenti su cultura e turismo di ponente o di levante, ma concordo quando parla di “una puntuale subalternità reggiana” e di una certa confusione nella politica culturale.
Adesso, come in passato, la sirena chiama a fare e pensare cose nazionali, europee, internazionali.
Così si parla di “aree vaste” e capitale della musica.
Esattamente come un tempo si parlava di capitale della danza e di fotografia, addirittura, europea.
Il pericolo vero? Passando da una presunta capitale all’altra?
Che nel giro di qualche anno non si arrivi neppure ad avere una propria identità vera e riconoscibile anche solo in Regione.
Un rischio ancora più grave: che l’eccellenza dei servizi, anche quelli culturali, venga pian piano logorata; che questi stessi servizi, insomma,vengano quotidianamente penalizzati, svuotati e considerati superflui.
Pensiamo a tutto quello che le istituzioni private e pubbliche della città fanno per le scuole, racchiuse nel progetto +di1, che ha pochi competitor in Italia e in Europa per qualità e quantità di proposte annuali, di cui non si parla.
Eh, sì, siamo lontani da quando qui si diceva con orgoglio che i servizi erano un’eccellenza e c’era chi proponeva festival e convegni per parlarne, con al centro non un unico linguaggio espressivo – arte, musica, danza, burattini, … – ma un modo di produrre sistema, formazione, spettacolo, cultura.
(La Gazzetta di Reggio – 30 Ottobre 2017)