Il Pd reggiano, per parlare di scuola ed educazione, decide di non parlare della riformaccia della Buona Scuola su cui ha fatto il mea culpa anche Renzi, ma organizza una serata facile: con la parlamentare Vanna Iori e lo psichiatra Paolo Crepet, personaggio tv capace di riempire la platea.
Partiamo da qui: per parlare di scuola, si chiama uno psichiatra. È la medicalizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza: c’è qualcosa di peggio? Poi va a finire che Crepet spara a zero su Reggio Children. E Vanna Iori non ribatte prontamente, rischiando di avvallare le critiche dello psichiatra, che in un’intervista rincara la dose: “O innovate, o siete morti”.
Ho un ricordo spiacevole di Crepet. Quando con l’amico scrittore Giulio Mozzi curai per Einaudi il libro “Quello che ho da dirvi – Autoritratto delle ragazze e dei ragazzi italiani”, ci avevano inviato lettere anche alcuni compagni di scuola di Erika, la ragazza che nel febbraio del 2001 aveva ucciso la madre. Fummo contattati da giornalisti e invitati a presentare il libro a Novi Ligure. Dall’ufficio stampa di Einaudi ci dissero: “Del caso ha detto che si occupa Crepet. Fine del discorso”. Non se ne fece più niente. Restammo ammutoliti.
A ogni modo, le critiche? Vecchie, vaghe. Probabilmente risentono del fatto che Crepet non è stato chiamato per una consulenza che si aspettava. Da sempre i nostri asili, acclamati all’estero, in Italia sono stati criticati.
Motivi principali? Primo: sono laici, nel nostro paese una rarità. Secondo: non nascono dall’alto, dall’accademia, dalle università, ma dalle donne, e dalla cosiddetta pedagogia popolare. Crepet dice che si tratta di roba vecchia: sbaglia. Non siamo più alla pedagogia della liberazione, ma oltre: non ha studiato.
In un’epoca come la nostra, in cui al centro dell’azione educativa ci sono i genitori del bambino (i clienti, così li chiama la Buona Scuola), o si parla di scuola-azienda o si ritorna alla centralità del docente e delle discipline; mantenere la barra fissa sui bisogni e i sogni dei bambini è sempre più raro e importante.
Detto questo, credo che i pedagogisti di Reggio Children, ancora prima che gli amministratori e i politici, dovrebbero rispondere alle provocazioni di Crepet e non farsi prendere dalla tentazione di vivere nell’empireo: Malaguzzi avrebbe risposto, senza paura né delle accademie né dei media.
Questo aiuterebbe ad aumentare la ricaduta, anche culturale, di un’istituzione così importante sulla nostra città, che non può risolversi solo in un weekend con ReggioNarra e poco più. Da oltre un decennio propongo, inascoltato, l’organizzazione di un Festival dell’educazione. Silenzio tombale. Perché aver paura di un confronto mondiale?
Se il Reggio Approach è una filosofia e un approccio legato alla nostra città, dunque non è un metodo né un’ideologia, occorre inoltre ragionare seriamente sulla sua esportabilità e vendibilità, perché non è come vendere un capo di abbigliamento.
E anche sulla sua proprietà: se è una storia collettiva, che tutti i cittadini hanno contribuito a finanziare con le proprie tasse, può appartenere solo agli azionisti di una fondazione?
E può da un lato ospitare ogni anno il ministro italiano dell’istruzione di turno, anche se propone ricette educative opposte a quelle che vende all’estero, solo per opportunità? O non dovrebbe invece battersi nello stesso modo e con la stessa determinazione per tutti i bambini e le istituzioni educative italiani e del mondo, a prescindere dalla loro età, esattamente come faceva Malaguzzi?
Occorre infine porsi il problema dei costi. Agli inizi gli asili reggiani erano gratis, ora a New York o in Cina costano dai 30 ai 40mila euro all’anno per bambino. Con la pedagogia popolare, proprio a Reggio, abbiamo creato gli asili per l’èlite? Sarebbe un paradosso.
I costi qui sono contenuti perché il Comune ci mette ogni anno oltre 23 milioni di euro presi dalla tasse dei cittadini. In sintesi: i nostri sono gli asili più belli, ma forse anche i più costosi del mondo.
Eppure l’educazione continua anche dopo che un bambino compie sei anni, per fortuna. Eppure gli asili sono diventati i più belli quando non erano i più costosi. Dunque la domanda è: si può mantenere la qualità contenendo i costi? E non immaginando come forma di contenimento solo un ricavo dalla vendita del Reggio Approach all’estero a bambini di famiglie più ricche?
A prescindere dalle risibili provocazioni di Crepet, da anni queste domande aspettano risposte.
La realtà è lo specchio di quanto i genitori buoni amici ci è davanti : ragazzi che non sanno affrontare la vita, maleducati, ignoranti, senza struttura interiore, esseri che si lasciano abbindolare dalla spazzatura che viene propinata in rete. Supportare il buonismo amico di genitori e scuola dimostra la mancanza di responsabilità di entrambi, nello stesso tempo permette ai ragazzi più deboli di lasciarsi andare in questa realtà anestetizzata .